Riduzione dei rifiuti alimentari: la lezione inglese

Lo spreco non si può limitare solamente attraverso comportamenti corretti: occorrono organizzazione, logistica, slancio etico, creatività imprenditoriale e recupero economico. Una ricetta che nel Regno Unito ha ridotto i rifiuti alimentari del 13%.

 

Mentre l’Unione Europea si sta preparando ad ufficializzare la decisione di dedicare il 2013 alla lotta contro gli sprechi, la battaglia per la razionalizzazione dei consumi sta crescendo assieme alla nuova sensibilità sollecitata dall´acuirsi della crisi economica.
Nello scorso mese di aprile uno studio del WWF evidenziava che negli anni 2006-2007 gli inglesi buttavano via un terzo di quello che comprano, bruciando almeno 500 sterline per famiglia. Contribuendo così all’inquinamento, visto l’inutile trasporto di merci destinate ai cassonetti comporta l’uso di risorse idriche utilizzate per produrre il cibo scartato: davanti ad un tale spreco di alimenti è come se finissero nella spazzatura 6,2 miliardi di metri cubi d’acqua, 300 litri al giorno per ogni inglese. Nel 2006-2007 gli inglesi producevano quindi rifiuti alimentari, comprese le bevande, per 8,3 milioni di tonnellate l’anno, ossia per oltre un terzo di tutto il cibo acquistato. Ma circa il 60% del cibo  buttato in pattumiera avrebbe potuto essere mangiato, se si fossero pianificati meglio i meccanismi legati alla sua produzione, distribuzione e immagazzinamento.
Lo studio del WWF ha destato un certo scalpore ed ecco che subito il WRAP (Waste & Resources Action Programme - finanziato dal governo UK per sostenere aziende e cittadini nelle pratiche più efficienti di utilizzo e riciclo di materiali) ha condotto uno studio più aggiornato nei tempi e meno desolante negli esiti.
La recente ricerca dimostra, infatti, che nel 2009 i rifiuti alimentari domestici sono passati dagli 8,3 milioni di tonnellate del 2006-2007 ai 7,2 milioni di tonnellate del 2010, con una riduzione pari al 13%. Un risultato enorme, secondo gli analisti del WRAP, che lo riconducono a più fattori. Se da un lato, infatti, la riduzione del reddito disponibile e l’aumento dei prezzi ha determinato maggior risparmio al momento dell’acquisto, dall’altro si sono moltiplicate le iniziative che hanno sensibilizzato i consumatori inducendoli a contenere gli sprechi. Come, ad esempio, “Love Food Hate Waste”, iniziativa sostenuta da enti locali e altri partner e gruppi della comunità, che offre ai consumatori  consigli pratici, strumenti e, soprattutto, fiducia per ottimizzare i consumi.  Così nell’omonimo sito si possono trovare ricette per l’utilizzo degli avanzi e suggerimenti per non sprecare il cibo, ma nei punti vendita si possono anche trovare operatori aderenti l’iniziativa che consigliano l’acquisto delle giuste quantità di cibo e di bevande, e illustrano i modi per ottimizzarne il consumo facendo attenzione alle scadenze e alla conservazione. E che, così come numerosi materiali divulgativi, ricordano sempre - ben sapendo che questo è il tasto più sensibile per ogni target di consumatori – il costo dello spreco del cibo per una famiglia media è di circa 815 euro (680 sterline) l’anno.
Ma in Gran Bretagna le iniziative si moltiplicano: dai volontari di FoodCycle che prelevano dai mercati l’invenduto per offrire pasti agli indigenti, ad Approved Food, sito internet specializzato nella vendita e consegna sotto costo di alimenti che hanno superato il termine minimo di conservazione, ovvero la data del “preferibilmente entro”. La consegna a domicilio entro 24 ore permette ai clienti di avere anche prelibatezze da gourmet e grandi marchi a prezzi contenuti. E ha permesso al sito di aumentare le vendite del 500% in un solo anno.
 

Fonte: Waste & Resources Action Programme