Spreconi, affamati e virtuosi del mercato globale. Un film documentario tedesco sulla distruzione del cibo, per conoscere lo scempio che affama i più deboli
Ci sono Hanna Poddig, operatrice ecologica che dai rifiuti dei supermercati recupera alimenti consumabili, e Thomas Pocher, direttore di un supermercato francese che consiglia ai clienti l'acquisto di cibo a impatto zero sull'ecosistema. Ma anche Friedrich-Wilhelm Graefe, coltivatore di patate della Westfalia che si rammarica del fatto che quasi la metà del suo raccolto deve essere distrutto per motivi estetici, e André Foka, piccolo agricoltore camerunense che ha visto i suoi campi “invasi” dai banani di una multinazionale. Le loro sono solo alcune delle molte voci e delle tante diverse storie raccolte dal regista tedesco Valentin Thurn nel suo film-documentario “Taste the Waste” (letteralmente “Assaggia i rifiuti”), approfondita indagine sullo spreco e sulla distruzione di cibo nel mondo. Un film che evidenzia la correlazione tra le carestie e il sottosviluppo di un bel pezzo di pianeta e l’opulenza sprecona dell’Occidente.
Come spiega l’interessante (e per certi versi sconvolgente) documentario, in Europa e in Nordamerica quasi la metà del cibo perfettamente consumabile viene sprecata, letteralmente gettata ai rifiuti quando è ancora integra e sana, ancor prima di arrivare sugli scaffali dei supermercati: si tratta di una quantità tre volte superiore a quella che servirebbe per nutrire tutti gli affamati del mondo. Proporzione che fa subito intuire come lo spreco del cibo renda la parte più ricca del pianeta corresponsabile della fame diffusa nel resto del mondo.
Come non sentirsi colpevoli, infatti, apprendendo (o ricordando) che la frutta e la verdura che non sono perfette a vedersi non sono degne di essere proposte sugli scaffali e vengono ributtate nei campi? Succede ai prodotti che non rispettano gli standard di dimensione e regolarità della forma, ossia al 40-50% delle patate raccolte in Germania, ad esempio.
Ma succede anche, com’è noto, che nonostante le maglie della selezione siano così strette, gli scaffali dei supermercati rigurgitino di prodotti freschi e offrano molto più di quanto obiettivamente serve alla propria clientela, per consentire a questa di scegliere tra la gamma più ampia possibile di sapori, colori.. e assurdità stagionali…. E quel che avanza si butta. Ma non quando è avariato o scaduto, bensì semplicemente quando non serve.
Il problema, sostengono i responsabili della grande distribuzione organizzata (GDO) è l’impossibilità di prevedere che cosa il consumatore vorrà comprare giorno per giorno; essendo venuta a mancare l’abitudine della stagionalità dei prodotti, i distributori si sentono costretti a fornire sempre la scelta più ampia possibile, pur sapendo che, inevitabilmente, una parte della merce rimarrà invenduta.
Davanti a questo mercato così ricco e sprecone, bisogna anche ricordare che il settore agricolo è responsabile per più di un terzo della produzione dei gas che contribuiscono all'effetto serra, a causa dei fertilizzanti e dell'energia necessaria alle coltivazioni; inquinamento cui si aggiunge il materiale organico riversato in aree di rifiuti, il quale produce metano che si disperde nell'atmosfera. Impatto sull’ambiente che diventa ancora più disastroso quando metà degli alimenti prodotti dall'uomo è destinata già da subito a diventare immondizia.
Ma non basta. Dall’indagine di Thurn emerge anche che se invece che la carne, il pesce, la frutta e verdura, che ovviamente una volta raggiunto il limite di conservazione devono essere buttati per forza, consideriamo il pane (un alimento che ha quasi lo stesso potere calorico del legno), scopriamo che l’Unione Europea butta 3 milioni di tonnellate di pane l’anno. Ossia tanto quanto ne consuma l’intera Spagna. E un rapido calcolo consente di stimare che se panettieri tedeschi cuocessero solo il pane che effettivamente vendono, la Germania potrebbe spegnere una delle sue centrali nucleari.
Ma il film non è solo una sequenza di dati e situazioni allarmanti. Thurn propone anche soluzioni concrete e facilmente realizzabili, contro questo indiscriminato spreco che impoverisce “i ricchi” e affama i poveri. Idee già messe in pratica quotidianamente da antropologi, volontari, agricoltori, insegnanti, eco-attivisti e benefattori intervistati dal regista: persone che mettono a disposizione le proprie esperienze improntate al buon senso e all'impegno quotidiano. Infatti, se potessimo salvare anche solo la metà dei rifiuti evitabili, riusciremmo a produrre benefici per l’ambiente pari a quelli raggiungibili fermando il 25% delle autovetture in circolazione. E contenendo gli sprechi diminuirebbero gli acquisti, così da poter far diminuire anche i prezzi. Perché nel mercato globale spreconi e affamati comprano il cibo dagli stessi fornitori. E se i primi sprecassero meno anche i poveri potrebbero sfamarsi con maggior facilità.
Fonte: www.tastethewaste.com