Kyoto chiama, Pantalone risponde

E’ in arrivo una salasso di 840 milioni di euro afferma il Sole 24 ore del 13 luglio 2009 e questa riguarda l’impossibilità per l’Italia di rispettare i limiti imposti dalla Comunità per rientrare nei parametri di Kyoto. Cosa e perchè è successo? Succederà ancora? Pagherà il solito Pantalone? Si poteva evitare? Sono parecchie le domande che nascono leggendo l’articolo.
 
Intanto vediamo di capire come saltano fuori gli 840 milioni di euro.
L’Italia si è impegnata ad emettere al massimo 201 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (MteCO2) in quattro anni, dal 2009 al 2012. Tale impegno, preso dal governo Prodi, era da sostenersi con incisive e ampie iniziative (queste erano le intenzioni) per ridurre le emissioni di gas climalteranti: conto energia, riqualificazione energetica degli edifici, incentivi alla mobilità sostenibile. Queste iniziative sono state diluite e pure osteggiate. Ricordate il tira e molla sul 55%, la certificazione da allegare all'atto vendita, il plafond dei 1200 MW del FV?
 
Nell’articolo de Il sole24 ore appare molto evidente lo scollamento tra l’allora Ministro dell’Ambiente Percoraro Scanio e i Ministeri competenti del governo Prodi (per altro molto ben descritto nell’articolo apparso su green report del 17/08/2009).
 
Ritorniamo agli 840 milioni di euro. Per il 2009 il limite di emissione massimo era stato fissato in 56 MteCO2. Ora dai conteggi relativi ai primi mesi del 2009 (non si dice chi abbia fatto tali conteggi, ma sembra ovvio rientrino tra le competenze del Ministero dell’ambiente) le previsioni portano a dire che nel solo 2009 ci potrebbero essere emissioni per 93 MteCO2 quindi con oltre 37MteCO2 in più in un anno. Non c’è che dire. Lo sforamento si profila parecchio pesante.
 
Ora per rimediare al guaio possiamo acquistare sul mercato delle quote di emissione CO2 di proprietà delle aziende europee che hanno ridotto le emissioni. Una quota di emissione corrisponde ad 1 teCO2. Chi ha emesso di più di quanto si era impegnato può rimediare scambiando tante quote di emissione quante sono le tonnellate di CO2 in più emesse.
 
Una quota di emissione (1 teCO2) vale oggi 13-15 €. Questo vuol dire che chi ha emesso CO2 in più deve accollarsi dei costi pari a 15 €/teCO2 per la quantità emessa in più, nel nostro caso 37.000.000 teCO2. E, quindi, il costo da sopportare nel 2009 è pari a 15 X 37.000.000 = 550 milioni di euro. Nel 2010 l’importo arriverebbe a 840 milioni di euro. Ecco come saltano fuori gli 840 milioni di euro. Non è quindi una sanzione ma un costo per il mancato rispetto di un contratto.
 
Chi paghera ora questi costi? L’acquisto delle quote di emissione sarà contabilizzato dalle aziende tra i costi di produzione e quindi tali costi saranno direttamente scaricati sulle bollette di tutti gli italiani. Il Pantolone, appunto! Nella eventualità che lo stato si accollasse tale acquisto sarà sempre Pantalone che pagherà. Evidenziamo che le aziende energetiche hanno da anni utili a due cifre e non mi sembra proprio il caso di fare regali in questi momenti a chi non ha certo problemi economici.
 
I 550 e 840 milioni di euro, per il 2009 e 2010, rispettivamente, potevano essere evitati se venivano fatti gli investimenti necessari per ridurre le emissioni di CO2.
Il Governo Prodi penva che le aziende cogliessero l'occasione e invece queste si sono defilate.
Questo è successo anche perché qualcuno ha deciso che <<carbone doveva essere e carbone è stato>> sicuro che i costi li avrebbe pagati Pantalone.
 
Ora si potrebbe anche venire meno all'impegno con la comunità sulle emissioni (216 MteCO2 in 4 anni) rifiutandosi di acquistare le quote di emissione per la CO2 in più emessa. Certo, quel qualcuno che lo propone dovrebbe essere consapevole che allora sì potremmo incorrere in una sanzione. Di quanto?
Per ogni teCO2 in più emessa è prevista una sanzione di 100 € e, quindi, 37.000.000 x 100 = 3,7 miliardi di Euro per il 2009.
Chi dovrebbe pagare questa sanzione? Negli accordi in sede comunitaria sembra si sia definito che le sanzioni saranno imputate alla Cassa Depositi e Prestiti e, quindi, sempre del solito Pantalone. Sempre lui.
 
E’ ovvio che Pantalone acquisterà quote di emissione per 550 milioni di euro piuttosto che essere sanzionato con 3.400 milioni di euro per il 2009.
Una cosa è certa. Le aziende italiane avevano la possibilità di investire 550 milioni di euro per ridurre la CO2 e non l’hanno fatto sicure che Pantalone avrebbe pagato.
 
Perché è successo tutto questo? Quali sono le cause prime?
La politica energetica e ambientale della nazione va condotta dal governo con l’appoggio di tutte le forze politiche economiche e sociali. La nascita di nuove centrali (o la ristrutturazione di quelle esistenti) e le infrastrutture necessarie al paese devono essere “congruentemente determinate” con gli impegni presi in sede politica in un ciclo che deve essere chiuso.
 
Le aziende italiane – salvo qualche eccezione - non credono nelle iniziative per risparmiare energia o per emettere meno polveri e gas. Le aziende italiane si muovono non perché sono spinte dallo spirito dell’intrapresa (trasformare gli ostacoli e le sfide in opportunità) ma piuttosto dall’essere consapevoli che in un gioco “forzato” - quale è quello dei cambiamenti climatici - ci sarà sempre qualcuno che investirà al posto loro.
 
Vogliono incentivi? Diamoglieli, subito, prima possibile.
In queste settimane (e prossimi mesi) qualcuno dovrà correre ai ripari.
E’ stata ventilata una proposta per ridurre le emissioni di CO2 nei mesi a venire fino al 2012.
La proposta è di utilizzare più CDR e CDRQ (Combustibile da Rifiuto Urbano Qualificato) al posto del carbone. Dove? Negli impianti dove si produce in cogenerazione e già si è predisposti ad utilizzare il CDR. Si tratterebbe di consentire a 43 cementifici di ampliare la quota % di CDR oltre a quella consentita fino ad oggi (e se non fosse consentita di dare questa possibilità previo adeguamenti impiantistici e organizzativi) e di modificare 13 centrali di produzione per adeguarle all’impego del CDR.
 
Qualcuno potrebbe chiedere perche non aumentare la quantità di CDR negli impianti di incenerimento con cogenerazione esistenti? C’è ovviamente un motivo e non è banale. Non è legato alla capacità di trattare gli aumenti di CDR necessari negli inceneritori in cogenerazione. Il motivo principale è che gli standard di emissione degli inceneritori sono più stretti di quelli dei cementifici. Standard più ampi significa costi di produzione più bassi, meno problemi ed emergenze, ecc.
Ovviamente significa maggiori emissioni di CO2, particolato, diossina, ecc.
 
Se, quindi, tale proposta tende, da una parte, a contenere l’esborso o le sanzioni alle aziende italiane (e quindi poi al solito Pantalone) si deve notare che, dall’altra, andrebbe ad aumentare le emissioni di particolato e altri contaminanti a seguito di un uso massiccio di CDR nei cementifici e. quindi, andrebbe ad accrescere i costi esterni.
 
Un esperto di costi e responsabilità sociale potrebbe dire quale potrebbe essere la soluzione più saggia. Non credo di essere distante dalle conclusioni dell’esperto nel dire che è preferibile che gli italiani paghino quanto devono per i titolo bianchi piuttosto che vengano colpiti da aumenti di costi sanitari e sociali.
 
Gianfranco Padovan, Presidente EnergoClub
 
Fonti: Il Sole24ore, GreenReport