E’ giunta la crisi delle centrali termoelettriche

Quanto contino la recessione economica e le regolamentazioni ambientali, oppure quanto, invece, pesi l’abbondanza di energia prodotta dal fotovoltaico è difficile stabilirlo. Sta di fatto, però, che l’insieme di questi elementi sta portando verso la chiusura alcune centrali termoelettriche.
A mettere in difficoltà gli operatori dell’energia convenzionale, è proprio la combinazione tra domanda in calo a causa della crisi, la penalizzazione delle centrali più inquinanti grazie alle regolamentazioni ambientali e – non da ultima – la concorrenza dell’energia da rinnovabili e la sua priorità sulla rete elettrica.
In maggiore difficoltà sono le centrali ad olio combustibile, le più inquinanti insieme a quelle a carbone, che vengono ormai utilizzate al minimo e quasi solo in caso di emergenza. In questo modo, però, non riescono a coprire i costi di gestione e pensano alla chiusura.
Nelle scorse settimane il Quotidiano Energia aveva annunciato che Edipower sta valutando se chiudere in tempi molto brevi – “questione di settimane” – due impianti a gas: il ciclo combinato da 1.770 MW di Turbigo in Provincia di Milano e il turbogas da 1.179 MW di Chivasso, in Piemonte. La notizia è stata poi smentita dal presidente dell’azienda Roberto Garbati, che però non ha negato la fondatezza della stessa.
Successivamente il quotidiano online International Business Times avvisava della chiusura di altri due impianti del gruppo ovvero la centrale di Brindisi (a carbone da 640 MW - in perdita principalmente per le normative ambientali che impongono di usare un tipo di carbone più costoso) e quella messinese di a San Filippo del Mela (a olio combustibile, da 1280 MW tenuta in vita dai prezzi alti del mercato elettrico zonale della Sicilia, e che non avrebbe più senso con il potenziamento dell’elettrodotto tra Scilla e Cariddi)
Inoltre, Api chiuderà nel 2013 la raffineria e la centrale elettrica di Falconara e dovrà rinunciare al progetto delle due centrali da 520 e 60 MW in programma per la zona.
Per i sostenitori delle rinnovabili si tratta senz’altro di buone notizie, ma si tratta anche di indici di un sistema che non ha saputo essere flessibile, e che ora chiede a dei probabili futuri disoccupati di esserlo.
I segretari generali di Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uilcem-Uil hanno scritto al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, per chiedere un incontro urgente. Scrivono i sindacati: "Allarme centrali termoelettriche a olio combustibile. La situazione che si prospetta è assai grave; da un lato l'eccesso di offerta tiene fermi anche i più moderni cicli combinati a gas, dall'altro se le centrali a olio devono rimanere disponibili per i "casi di emergenza" devono essere messe a norma: ma in questo caso - dicono le aziende, comprensibilmente - ci vuole certezza che la potenza disponibile sia remunerata. In ballo ci sono un migliaio di posti di lavoro, oltre a tutto l'indotto che ci gravita attorno per le manutenzioni."
E il problema sembra non essere solo italiano: in diversi Paesi i proprietari degli impianti a gas stanno chiedendo soccorso e pare lo stiano anche ottenendo. Sia Gran Bretagna che Germania hanno in programma di introdurre il capacity payment, di cui si parla anche in Italia, cioè la remunerazione anche per la potenza di dispacciamento anziché per la sola produzione.

Fonti:
Quotidiano Energia
International Business Times
QualEnergia

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