A che gioco giochiamo con Kyoto e 20-20-20?

Che l’Italia volesse fare "la poco seria" su Kyoto, e con l’accordo con l’Unione Europea, era già chiaro da giugno 2008. Nel documento di Programmazione Economica-Finanziaria per gli anni 2009-2013, deliberato dal Consiglio dei Ministri il 18 giugno 2008, non c’era alcun riferimento alle risorse necessarie per fronteggiare i mutamenti climatici. Nessun stanziamento e fondi erano previsti per raggiungere l’obiettivo di -20% di emissioni di CO2 per il 2020 rispetto al 1990. E' molto improbabile che qualcuno se ne sia dimenticato mentre è molto più probabile che qualcuno abbia accantonato il problema, in modo poco serio, qualcuno direbbe "cialtronesco".
 
Si sa poi che frequentando alcune compagnie c’è il rischio di esserne influenzati. Le frequentazioni del nostro capo del governo con il presidente americano non hanno fatto per niente bene all’ambiente e alla salute. Gli Usa hanno da sempre contrastato il protocollo di Kyoto tanto che, ad oggi, non lo hanno ancora sottoscritto. Qualche segnale di ravvedimento arriverà - si auspica - con la nuova amministrazione USA.
 
Siamo proprio uno strano paese, prima ci si impegna e poi ci si tira indietro; prima si fanno affermazioni per assicurarsi un consenso e poi si smentisce. Sembra proprio l’ennesimo caso di quel “pessimo” tratto caratteriale italiano molto ben rappresentato dal nostro governo e da molti esponenti politici.
Stiamo facendo il gioco dell’oca energetico e il governo italiano è caduto nella casella dove si leggeva <<i costi fino al 2020, per rispettare il -20% CO2, saranno tra 18 e 25 miliardi di euro contro soli 7 miliardi di benefici diretti. Se non si è d’accordo, fare cinque salti indietro, altrimenti sommare i benefici indiretti in Italia e una quota % dei benefici mondiali collegati con l’Italia, e fare 3 passi in avanti>>. Ci apprestiamo a fare cinque passi indietro? Sembra di sì.
 
Nel gioco dell’oca energetico qualche mossa è a favore e qualcuna è a sfavore. Bastava cadere nella casella prima dove si leggeva <<Nel caso di assenza di finanziamento del Piano di riduzione della CO2 prevedere costi pari da 5% fino al 20% del Prodotto Interno Lordo mondiale, ritornare alla partenza. Nel caso di presenza di Piano prevedere costi pari al 2% del PIL mondiale e fare 3 passi avanti>>. Nessun finanziamento è stato previsto, decidendo così di far pagare un costo salatissimo. Agire ora e non subire dopo è la corretta prassi da adottare quando si parla di energia e ambiente. Per noi italiani ovviamente non è così, mentre lo è di più - in varia misura - per Germania, Spagna, Francia o Danimarca.
 
E’ vero, oggi c’è uno scontro tra Italia e Europa su Kyoto che non è, però, del tutto negativo.
Finalmente ci saranno maggiori informazioni per capire perché bisogna ridurre le emissioni di CO2. Finalmente!
 
Vediamo di dare anche un nostro contributo.
 
1)     Perché la CO2 è diventato un problema anche per noi italiani?
La quantità di CO2 immessa nell’atmosfera è maggiore di quella che la natura riesce ad assorbire. Il processo è in atto da più di un secolo, da quando abbiamo incominciato a utilizzare i combustibili fossili in modo intensivo (carbone prima, petrolio e gas e derivati poi) e, inoltre, per effetto dell’aumento della popolazione. L’effetto a lungo termine della maggior concentrazione di CO2 nell'atmosfera è la modifica del clima a livello globale.
Ognuno di noi può constatare questo fenomeno se vive in una cittadina con più di 10-20.000 abitanti. La temperatura del centro urbano è maggiore di quella delle zone rurali, anche di 3-5°C, sia d’inverno che d’estate. Le cause prime del surriscaldamento (fenomeno noto anche come "isola termica") sono molte e tra queste un ruolo determinante è svolto sia dalla CO2 e dal particolato emessi dai processi di combustione (caldaie e automezzi).
Non agire, dire che il problema dipende dagli altri che inquinano di più è segno di “sconsiderata insensatezza”. Oggi ognuno di noi è tenuto a fare quello che gli è possibile fare. L'abitazione di una famiglia media italiana emette da 2 a 6 tonnellate di CO2 all’anno. Se una famiglia fosse consapevole e supportata potrebbe ridurre questa emissione da 2.000-6.000 kg a 300-800 kg di CO2 all’anno. Se tutte le famiglie italiane fossero messe progressivamente in queste condizioni le emissioni si ridurrebbero di 50-80 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. A questa quantità andrebbero sommate altre quantità di CO2 potenzialmente da non emettere; ad esempio se si scegliessero materiali a bassa intensità energetica (ogni m3 di polistirolo ingloba energia di 100 kg di combustibile fossile, come petrolio e gas, mentre il corrispondente m3 in fibra di legno ne ingloba 25 kg, 4 volte di meno) si potrebbe ridurre ulteriormente l’emissione di CO2. Sapendo che ogni kg di combustibile fossile produce grosso modo 3 kg di CO2 è facile capire quanto CO2 si immette ancora prima di entrare in un’abitazione. Vogliamo tenerne conto?
 
 
2)     Quali sono le argomentazioni utilizzate per la prorogare l’applicazione del protocollo di Kyoto e gli accordi con l'Unione Europea?
I nostri ministri (il loro staff tecnico-economici) e gli esponenti della maggiore associazione degli imprenditori, ritengono gli obiettivi 20-20-20 entro il 2020 (20% risparmio energetico, 20% meno emissioni di CO2 rispetto al 1990, 20% di energia da fonti rinnovabili) non siano realisticamente attuabili sia per problemi di tempi tecnici che di entità degli investimenti.
Ammettiamo pure che la Comunità Europea abbia poi assegnato degli obiettivi nazionali in modo poco equo, perché invece di mettersi per traverso non si decide di trasformare le difficoltà in opportunità?
Abbiamo appena visto che nel solo nel settore dell’edilizia privata un intervento “efficace” può consentire di ridurre da 50 a 80 milioni di tonnellate di CO2/anno riducendo nel contempo i combustibili fossili di 20-40 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Il solo settore edilizio potrebbe permettere di raggiungere il 20% del risparmio energetico. Nel 1990 le emissioni erano di circa 510 milioni tonnellate di CO2, oggi ne emettiamo il 13% in più (585 Mt di CO2) e quindi dovremmo ridurre le emissioni da 585 a circa 400 Mt di CO2. Le abitazioni private potrebbero dare un contributo fino a 80-100 Mt di CO2 in meno. Certo lo sforzo sarebbe notevole perché gli investimenti sarebbero dell’ordine di 800-1.000 miliardi di Euro da investire da qui al 2020 (circa 65-80 miliardi all’anno) con una serie di benefici quali la riduzione della bolletta di petrolio, diminuzione dei costi sociali, piani recupero aree inquinate con investimenti più leggeri, ecc.
 
 
3)     Cosa ci deve preoccupare di più ora?
Le priorità delle forze politiche non sono quelle della gente.
C’è qualcuno tra i ministri che afferma, in modo sconsiderato, che l’economia viene prima dell’ambiente e la salute. Queste affermazioni ci fanno capire i “valori” in cui credono i nostri massimi rappresentanti politici.
Dobbiamo aprire gli occhi per evitare che persone con valori “anomali” ed oggi “eticamente non accettabili” arrivino a rappresentarci. Altrimenti, chediocenescampi.
 
 
4)     Ma le aziende quale ruolo dovrebbero avere in questo?
Non ci sono dubbi. Le aziende dovrebbero essere motivate “di loro” a innovare i processi e prodotti investendo quanto è necessario.
C’è la sensazione che le imprese vogliano spillare fondi e sovvenzioni per attività che in ogni caso dovrebbero fare per restare competitive. Gli imprenditori devono capire che c’è di mezzo un cambiamento climatico che potrebbe costare da 2,5 a 10 volte di più degli investimenti per evitarlo. E’ certo che se non verranno fatte azioni per tempo ci saranno mutazioni climatiche tali da influire sugli aspetti più basilari della vita umana in tutto il mondo, come la disponibilità di acqua, la produzione del cibo, la salute e l'ambiente. Molti milioni di persone potrebbero soffrire la fame, restare senz'acqua, o venire colpiti da inondazioni lungo le coste, man mano che la terra si surriscalda. Spero, spero vivamente, che non si voglia creare “sviluppo economico locale” attendendo le disgrazie indotte dai cambiamenti climatici globali. Diocenescampi da questi imprenditori, economisti e politici.
 
 
5)     La valutazione dei costi e benefici fino adesso è stata fatta in modo adeguato dal nostro governo?
No, assolutamente no. Sembra che si siano utilizzati dati della comunità europea scegliendo i valori più sfavorevoli e non conteggiando i costi “nascosti” e i “benefici indiretti”.
La valutazione dei costi e dei benefici non è mai stata facile quando si parla di energia. Il movimento ecologista e ambientalista contrapposto a quello economico e industriale devono però incominciare a trovare un terreno comune da condividere. Non possiamo sommare solo i costi amministrativi diretti (investimento, consumo, gestione diretta) ma dobbiamo conteggiare i benefici indiretti (minori emergenze, minori costi sociali e ambientali, ecc.).
 
Per chi volesse approfondire i costi e benefici (e mi sembra che qualche membro del governo si sia impegnato in questa direzione) possiamo consigliare di consultare il rapporto Sir Nicholas Stern, ex Vice-Presidente e capo economista della Banca Mondiale in anni recenti, ora consulente del governo inglese, pubblicato due anni fa. Nicholas Stern conclude nel suo rapporto:
 
<<Da dovunque la si guardi, la conclusione a cui portano gli elementi presentati nel Rapporto è molto semplice: i vantaggi di un intervento deciso e rapido superano di gran lunga il costo economico di un mancato intervento>>.
 
C’è una frase di Nicholas Stern che è indirizzata ai nostri imprenditori; egli afferma:
 
<<I cambiamenti nelle tecnologie energetiche e nella struttura e meccanismi delle economie hanno creato la possibilità di sganciare la crescita industriale dalle emissioni nocive. Ignorando le mutazioni climatiche invece si finirà sicuramente per danneggiare la crescita economica.>>
 
Stern ha pubblicato nell’aprile 2008 “Elementi chiave di un accordo globale sui cambiamenti climatici” che tengono conto sia del Rapporto dell’ottobre 2006 ma anche dei risultati pubblicati dall’IPCC nel 2007 (sull’influenza delle attività umane sui cambiamenti climatici). Consigliamo il governo e le forze politiche di partire da qui.
 
 
ing. Gianfranco Padovan - Presidente EnergoClub