Le aspettative disattese della COP15

Si è conclusa praticamente con un nulla di fatto la XV^ Conferenza delle Parti (COP15) della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) tenutasi tra il 7 e il 18 dicembre a Copenhagen, in Danimarca.

La delusione si è fatta sentire in modo particolare tra le decine di migliaia di attivisti provenienti da tutto il mondo, riunitisi nella capitale danese per incoraggiare e sostenere il raggiungimento, da parte dei leader politici di 192 Paesi, di un ‘accordo equo, ambizioso e legalmente vincolante’ per far fronte al cambiamento climatico.

Oltre all’amarezza per la mancata adozione da parte delle potenze del pianeta di politiche adeguate di adattamento e mitigazione al riscaldamento globale, la società civile ha risentito delle progressive restrizioni che giorno dopo giorno limitavano l’accesso al Bella Center, sede del Summit, fino ad escludere completamente i rappresentanti delle ONG, tutti regolarmente accreditati. Ufficialmente la responsabilità di tale inaspettato e inaccettabile cambiamento di programma – che ha arrecato danno alle migliaia di persone che hanno investito energie, risorse e aspettative nella propria trasferta a Copenhagen – va riconosciuta a questioni di natura logistica e problemi di sicurezza, ma molti tra i presenti non si sono lasciati persuadere dalla versione rilasciata dal Segretariato dell’UNFCCC. È netta la sensazione che sia stata, piuttosto, una scelta politica. Allontanare la folta schiera di osservatori appartenenti ad associazioni, movimenti, università, centri di ricerca, ha significato, infatti, escludere voci potenzialmente dissonanti da un tavolo delle trattative già clamorosamente in stallo.

L’unico documento emerso dal Vertice è, infatti, l’Accordo di Copenhagen, che non ha però validità ufficiale, tanto che la Conferenza delle Parti ha dichiarato di prendere semplicemente atto dell’esistenza dell’Accordo siglato da 25 Paesi tra industrializzati e in via di sviluppo: Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, Sud Africa, Arabia Saudita, Sudan, Russia, Norvegia, Messico, Mauritius, Papua Nuova Guinea, Lesotho, Giappone, Corea, Indonesia, India, Grenada, Francia, Germania, Svezia, Colombia, Cina, Brasile, Australia, Gabon. Gli obiettivi contenuti nel documento sono generici, né vengono specificati numeri sulle riduzione dei gas serra.

Secondo Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, il debole risultato è stato determinato dalla mancanza di volontà politica. Lo dimostra il fatto che nel caso di emergenze come la recente crisi finanziaria i leader politici sono stati in grado di prendere decisioni importanti e di stanziare fondi particolarmente ingenti dalla sera alla mattina.

Altri aspetti relativi alla mobilitazione per il clima che si è consumata a Copenhagen saranno ripresi nei prossimi numeri della newsletter. Intanto invitiamo quanti hanno partecipato in prima persona a dare la propria testimonianza, scrivendoci o aprendo una discussione sul forum.

Sara Capuzzo

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